Come nasce PostaTiAmo?

PostaTiAmo nasce durante una cena.

Il nome è stato un gesto spontaneo, senza pensare, è bastato ascoltare il mio cuore. Desidero raccontare storie, aneddoti ed episodi del nostro paese e dedicare questo blog a tutte le persone che mi hanno accompagnato in questi 40 anni di vita nella nostra amata Posta...a loro insaputa sono dei personaggi in un'avventura meravigliosa.

GianMarco Danna

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martedì 31 marzo 2015

Di quando Eraldo Pecci beffò la Lazio - di Giuseppe Fedele


Posta, correva l'anno 1984.

Io frequentavo il primo anno delle medie e, provenendo dall'ambiente ovattato delle elementari di Cittareale, mi affacciavo su un mondo nuovo e "cattivo" (in senso buono) in cui imperversavano i "nonni" di Bacugno e di Sigillo.


La scuola si trovava nell'attuale edificio comunale ed il nostro punto di ritrovo, la mattina, in attesa del suono della campanella, era il mitico bar "di Celentano", allora situato in fondo alla Piazza degli Eroi. 
Il localetto era articolato nell'ingresso col bancone ed una saletta con delle sedie alle pareti, nella quale dominava un gettonatissimo flipper. Una partita costava 100 lire, ma raramente si riusciva a finirla in quanto il sofisticato aggeggio andava regolarmente in "tilt" a seguito di gesti di nervosismo per palline ingiustamente finite in buca.


Erano giornate "avventurose" nelle quali ti poteva capitare che l'autista dello scuolabus ti obbligava a scendere, lasciandoti a piedi per strada, perché stavi "facendo confusione", o che il preside Cattani ti prendeva a schiaffi per aver sbagliato una semplicissima somma di frazioni!


Andavamo ad acquistare quaderni, penne e fogli di protocollo nelle piccole botteghe di Renata e del "maestro di musica". Le rare volte che le nostre madri non facevano in tempo a prepararci il panino per la ricreazione, con somma felicità, andavamo a comprare la pizza col salame ungherese nell'"Alimentari" di Luigina.


A volte facevamo delle incursioni nel laghetto situato dove oggi sorge il palazzetto, per pescare con le mani i pesci rossi. I sigillari, Riccardo, Giulio e Quinto avevano un'abilità insuperabile e poteva capitare che venissero a scuola attrezzati di stivali di gomma nera, propinando improbabili giustificazioni al professore della prima ora.


Posta era, nella mia mente di bambino, la sensazione di decadentismo suscitata dal suono dell'orologio a pendolo e dai quadri (imitazione) di Renoir dello studio del dottor D'Alessandro. Era il terrore delle interminabili e silenziose attese nello studio del dottor Pepe, insieme alla speranza di guadagnare un ghiacciolo al termine dell'operazione di cura. Era la tranquillità e l'odore di tessuti della bottega di Vittorio dove mia madre, dopo aver effettuato gli acquisti, si fermava in interminabili chiacchierate.


Ma, soprattutto, era il fascino imperioso dell'impavido soldato di bronzo del monumento ai Caduti!

Il giorno sacro della settimana era il martedì: storicamente (e non sono mai riuscito a capirne il motivo) in questo giorno venivano collocate le due ore settimanali di educazione fisica che, sistematicamente, si concretizzavano, per noi ragazzi, nell'agognata partita di calcio nel campetto in erba aldilà del fiume. 

Epiche battaglie portate avanti ad oltranza in cui gli insegnanti avevano il loro bel da fare per conciliare gli animi e, soprattutto, per riportarci a scuola al termine dell'orario.

Il prato a zolle con le porte di legno grezzo e le reti fatiscenti erano teatro delle mitiche sgroppate, con tanto di conclusione dalla distanza, di "Boccio", o dei dribbling insistìti di Micarelli, che fieramente ostentava la sua borsa da calcio della neo costituita compagine calcistica dell'"Alto Velino". 

O del compianto Amedeo che ai campionati studenteschi minacciava di non partecipare se non avesse avuto la maglia numero 5 di Falcao.

Era un ambiente fatto di "sano nonnismo" nel quale avevo faticosamente guadagnato un po' di rispetto, nonostante il carattere timido, per la mia discreta abilità nel gioco del calcio, sommo metro di valutazione e di definizione delle gerarchie. Al massimo poteva capitare che il Tonino di Sigillo di turno ti dava una banconota da 500 lire ordinando: <<Vamme a comprà 'na Girella!>>. 

Un ambiente dominato dalla sconfinata fede Laziale della quasi totalità dei Bacugnesi, Postaroli e Sigillari in cui io, da solo, orgogliosamente ostentavo il mio "credo" interista.

Era la Lazio dei mitici Giordano e Manfredonia: ricordo perfettamente di un'ovazione della classe, durante la lezione di storia, non appena il professor Crescenzi pronunciò il nome di Giordano Bruno, arso al rogo dall'Inquisizione.

Così come nitido è il ricordo di quel lunedì mattina del 1984, che seguiva la prima domenica di campionato in cui la Lazio era stata sconfitta in casa per 1 a 0 dalla Fiorentina di Socrates e di "Picchio" De Sisti. 

Al termine di una partita giocata gagliardamente dai biancoazzurri, con molte occasioni sprecate, arrivò al 71', la beffa ad opera di Eraldo Pecci, che, con un missile dai trentacinque metri, di sinistro (il piede non suo!), mise la palla sotto il "sette", alle spalle di un costernato Orsi.

Quel lunedì, per tutto il viaggio sul pulmino, avevo pregustato il momento dello sfottò verso i miei compagni, amici laziali. Arrivati a Posta, entrai nel bar di Celentano, mi diressi spedito nella saletta, dove Micarelli e "il Roscio" di Bacugno, Tonino, Riccardo e Giulietto di Sigillo erano seduti in assoluto silenzio, con facce da funerale, a smaltire la delusione dell'ingiusta sconfitta. 

A quella visione non riuscii a trattenermi dal gridare un ironico, sfrontato e coraggiosissimo <<GRANDE LAZIO!>>.

Da quel momento in poi il ricordo sfuma nell'immagine delle cinque figure che si alzano all'unisono riversandomi addosso un fiume di calci, pugni e insulti, lasciandomi dolorante, ma soddisfatto, per tutto il resto della giornata!


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